ALLA SCOPERTA DEL BAMBINO DISLESSICO
"Finalmente lo sottoposi a un test di letteratura compilato dalla Società Alfred Binet: un raccontino di poche righe, semplice nel contenuto e di apparente facile lettura, ma che in realtà contiene accostamenti di parole che sono tranelli, disseminati fra parole semplici per ogni bambino che affronta un combattimento con la combinatoria dell'alfabeto.
Lo trascrivo integralmente.
Niente come leggerlo rende l'idea di come restasse misteriosa per me la dislessia di Umberto, di come la difficoltà della lettura, quando si manifesta, possa sfuggire totalmente all'immaginazione di chiunque abbia raggiunto l'automatismo della lettura senza accorgersene.
«Pierina ritorna cantando dalla scuola del villaggio; passa per un sentiero fiancheggiato da biancospino, i ramoscelli sono coperti di mazzolini bianchi e rosa. "Buongiorno, Pierina," sembra che dicano quei bei fiorellini bianchi.
«Pierina si avvicina e aspira il profumo tenue dei fiori. Con i suoi occhietti neri un cardellino guarda la bambina che viene avanti sorridendo. Cinguetta, saltella, s'avvicina e s'allontana. "Vieni, bell'uccellino dorato" dice Pierina tendendo la mano "non ti farò del male."
"Ciò, cio, sto bene qui" dice l'uccellino "Ho paura della gabbia; la gabbia è una prigione. Addio, bella bambina.
Se ne vola via allegramente e va a dondolarsi sul ramo sottile e flessibile di un giovane pioppo.»
Umberto si accinse alla lettura del piccolo brano con la solita aria svogliata, rassicurato persino dalla sua brevità.
Più che osservare lui, tenevo d'occhio la lancetta dei secondi del mio orologio da polso. Cercavo di essere disinvolto, ostinandomi ancora a nascondere la mia ansia, a lasciarlo all'oscuro.
Sapevo che la lettura del testo doveva essere fatta in meno di 210 secondi da un qualsiasi bambino di sette anni scolarizzato e Umberto ne aveva nove.
Si impuntò fin dalle prime parole, le crescenti difficoltà che incontrava sembravano ormai spaventare più lui che me, pure riusciva a nascondersi con quella perizia adulta che non mi sorprendeva più.
Dovevo calcolare il tempo che impiegava nella lettura del brano e contare gli errori che commetteva per avere una valutazione del ritardo rispetto alla sua età e alla norma corrente, ricavata dalle statistiche eseguite nelle scuole elementari francesi....
... Nella stanza in cui la signora Palmieri lavorava un bambino nuotava su un tappeto, cioè strisciava faticosamente per terra eseguendo i movimenti di chi nuota, sbracciandosi come nell'acqua, sforbiciando a fatica le gambe.
Un altro bambino seduto accanto a lei leggeva cantilenando, seguendo il tempo di un metronomo che batteva il ritmo... Erano due bambini dislessici sui sette anni..
Non volevo perdere un solo gesto, un solo movimento, né un suono di ciò che avveniva in quella stanza. Sebbene mi sfuggisse la funzione terapeutica degli esercizi che vedevo fare per la prima volta, ne afferravo l'utilità, il beneficio che procuravano....
Mi rendevo all'improvviso conto che la dislessia non si curava supplicando o imponendo di leggere, o costringendo quotidianamente a esercizi di scrittura che determinavano miglioramenti minimi e provvisori, destinati a sparire a ogni interruzione prolungata per più di un giorno, ma insegnando a tutto il corpo a muoversi nello spazio, a recuperare e a rivivere una stagione dell'infanzia vissuta male, oppure salta, come vissuta senza avvedersene, senza accumulare esperienze.....
... Ma ciò che mi sgomentava era constatare che ogni metodo rieducativo che si proponeva, si riferiva a bambini piccoli. I risultati ottimali, cioè, si raggiungevano se la dislessia veniva curata nei primi anni di scolarizzazione e un ruolo decisivo doveva avere la scuola".
Ugo Pirro Mio figlio non sa leggere, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1984
Il problema non è facile e richiede la collaborazione della famiglia, della scuola e dell'ambiente in cui il dislessico vive, dell'insegnante, dei compagni di classe e degli operatori sociali.
È indispensabile anzitutto creargli attorno un’atmosfera di sicurezza.
In classe bisognerà adottare delle strategie atte a promuovere nel bambino un'azione di costante incoraggiamento.
Manuale di Formazione e Aggiornamento degli insegnanti (a cusa di S.Danieli) Giunti Editore - 1990 Firenze
... All'atto del recupero noi abbiamo considerato che qualunque possa esserne la causa .... nella lettura e nella scrittura la dislessia si esprime come difficoltà a percepire i fonemi (lettere e sillabe) e la loro successione....
Non dobbiamo dimenticare che nel bambino dislessico spesso non si sono ancora formati i concetti destra - sinistra, sopra - sotto e la rieducazione psicomotoria in genere avviene contemporaneamente all’apprendimento relativo alla scrittura e alla lettura.
....Qualche considerazione sul modo scelto per portare i dislessici a scrivere e leggere. ....
Non di rado vengono commessi errori nella presentazione delle lettere prima che inizi la scuola e in tal caso l'insegnante si troverà a dover rimediare errori precedenti.
... Nella rieducazione del dislessico è importante che scrittura e lettura procedano di pari passo .... Non esistono norme precise per la presentazione dei suoni perché a volte si stabiliscono insospettate difficoltà di riconoscimento....
Quando il bambino è esercitato a cogliere gli elementi strutturali delle prime lettere e ad identificarle con sicurezza, procederà successivamente con un ritmo molto più veloce.
Nei primi due mesi di scuola, e spesso anche prima, il bambino è in grado di imparare a riconoscere tutte le lettere e tutti i simboli relativi ai primi dieci numeri (anche se con la gradualità necessaria all’assimilazione dei concetti).
Un periodo abbastanza lungo viene invece impiegato nel favorire l'associazione consonante - vocale.
Ma poiché molti errori riscontrati nella scrittura del dislessico (inversioni, omissioni, sostituzioni) sono da imputarsi proprio a questa mancata associazione, su questo punto è bene insistere fino a quando non se ne sia constatata l'esatta riproduzione.
A fine gennaio, se il procedimento è adottato sin dall'inizio dell'anno scolastico, i bambini in genere sono in grado di scrivere tutti i tipi di parole e possono essere lasciati liberi di esprimersi spontaneamente, senza tuttavia tralasciare i dettati comprensivi di tutte le difficoltà e quelli sugli errori più frequenti...
.... Il trattamento specifico per il dislessico ... è indirizzato nelle linee generali ad un'intera scolaresca partendo dal presupposto che nessun bambino sappia, all'inizio del primo anno di scuola, scrivere e leggere.
In tal caso, i soggetti dislessici potrebbero procedere pressoché contemporaneamente agli altri nella conoscenza delle lettere e nell'acquisizione della lettura....
C.Cavazzutti Pavarotti e altri - La rieducazione del dislessico nella scuola elementare - Ed.La scuola 1982 Brescia
lunedì 29 ottobre 2007
SCACCHI INSEGNATI AI BAMBINI - 6^ TAPPA e 2^ FASE

L' ULTIMA LEZIONE (Federscacchi a pag 36)
1. Distribuisco scacchiere e giochi
2. Insegno subito a tutti insieme la PRESA AL PASSAGGIO DEL PEDONE alla prima sua mossa: ricordarsi di precisare con attenzione che il pedone avversario può prendere l’incauto solo se si trova due case più su (di fianco) e che la cosa vale per ciascun pedone che compie la sua prima mossa (visualizzare sempre sulla scacchiera/lavagna la mossa spiegata).
3. Organizzo quindi un torneo di coppia, dando un contemporaneo inizio al via, squalificando senza pietà coloro che parlano e agitano le mani sulla scacchiera (in questi casi la vincita dell’avversario renderà più bruciante ed efficace la squalifica).
4. Per chiamare l’arbitro si alza la mano e si aspetta con pazienza che arrivi.
5. Ogni coppia, concluso il torneo a due, sistema con le solite modalità il gioco sulla scacchiera e va via in silenzio dall'aula “per non disturbare gli altri giocatori”.
2^ fase


A questo punto i bambini potranno giocare quando vogliono.
L’organizzazione di tornei periodici, più o meno articolati, terrà vivo l’entusiasmo.
Vengono anche organizzati dai Circoli degli Scacchi dei “Tornei Juniores” dove potranno cimentarsi e che richiederanno un certo allenamento...
Impareranno da soli, giocando, le prime semplici strategie.
Si potrà via via, singolarmente e opportunamente, dare qualche suggerimento:
“Cosa succederà dopo la tua mossa? Devi cercare di indovinarlo!”
“Qualche volta forse è meglio non mangiare subito”
“Prima di pensare alla tua mossa, pensa al perché il tuo avversario ha fatto quella che ha fatto”
“Non puoi dare fretta al tuo avversario: deve poter riflettere”
“Tira fuori cavalli e alfieri prima di muovere tutti i pedoni, per poter fare subito l’arrocco e per difendere meglio le postazioni”
“Non piangere sul sacrificio di pezzi che si hanno in più” (diceva il maestro Santolini “Mai piangere sul materiale restituito!”).
PER UN DIVERTENTE COROLLARIO SEGNALO
Parliamo di Scacchi - http://ceckmate.blogspot.com/
sabato 20 ottobre 2007
SCACCHI INSEGNATI AI BAMBINI - 5^ TAPPA

QUINTA TAPPA
Distribuite scacchiere e pezzi, faccio giocare i bambini per circa venti minuti.
1. Intanto passo di scacchiera in scacchiera a spiegare e mostrare l’ARROCCO (che significa “rinchiudersi nella fortezza”), insistendo sul fatto che esso è possibile soltanto se:
a) né re, né torre interessata si sono mai mossi dalla loro casa;
b) nessuna casa della sezione interessata all’arroco si trova sotto la minaccia di qualche pezzo avversario.
c) che per fare l'arrocco bisogna toccare prima il Re e solo dopo la Torre.
2. Dopo circa un quarto d’ora di gioco spiego la MOSSA DEL CAVALLO, ma faccio prima vuotare le scacchiere da tutti i pezzi ( che andranno riposti nelle scatole) e lascio solo un cavallo a testa
3. Il cavallo forma sempre una piccola L, costituita da tre quadretti dritti e uno laterale, e inizia a muoversi considerando la casa (cioè il quadretto) nel quale si trova a piacere come il primo dei tre dritti o come quello laterale.
Questo pezzo è "l’unico che può saltare sugli altri pezzi”, ma PRENDE (cioè mangia) solo quelli che si trovano nella sua casa di arrivo, mettendosi al loro posto, proprio come tutti gli altri scacchi.
4. I bambini si eserciteranno per tutto il resto del tempo nella mossa del cavallo, autocontrollandosi con il conteggio delle case.
L’insegnante passerà da una scacchierà all’altra correggendo e insegnando.
Per la volta successiva ciascun bambino dovrà portare un foglio a quadretti con disegnata la mossa del cavallo in vari posizionamenti.
5. In questa tappa i bambini avranno la possibilità di giocare tra loro solo all'inizio e non alla fine.
Non dimenticarsi di concludere la tappa con le solite pignole fasi di ordinamento, ritirando fuori dalle scatole e risistemando sulla scacchiera tutti i pezzi prima riposti per insegnare la mossa del cavallo.
venerdì 19 ottobre 2007
FORMAZIONE DEI CONCETTI
martedì 16 ottobre 2007
DISLESSIA – RECUPERO
INTRODUZIONE AL METODO DA ME IDEATO ED APPLICATO CON SUCCESSO
“La dislessia è un disturbo che impedisce il normale apprendimento di lettura e scrittura...
Secondo le statistiche rilevate in diversi paesi, la frequenza della dislessia è indicata nella misura del 5-10% dell'intera popolazione scolastica; in pratica un bambino su 10.
Il 5% di questa percentuale lo è in modo molto grave.
Il che significa che in una classe di circa venti bambini, vi sono buone probabilità di trovare un dislessico grave e due o tre non gravi. .......
Considerando che il numero e la gravità dei bambini dislessici aumenta nelle scuole dove è applicato il “Metodo Globale” (in Italia quasi il 98% - il metodo globale presenta come prima cosa una intera frase, da copiare per più giorni fino all’ automatica decodificazione in parole prima, in sillabe e lettere poi, da parte degli alunni)) ....si è osservata la necessità di aiutare il bambino ... con un metodo diverso...
Il metodo utilizzato, sia esso sillabico o analitico, non modifica i risultati che si ottengono nell'apprendimento della lettura e della scrittura....”
CARLA CAVAZZUTI PAVAROTTI, FRANCA TONI GIOVANARDI - LA RIEDUCAZIONE DEL DISLESSICO NELLA SCUOLA ELEMENTARE - EDITRICE LA SCUOLA , 1982, BRESCIA,
I miei studi messi in atto non appena ho saputo di dovermi occupare di una classe prima, mi hanno messo in contatto con la tragica realtà di questi tantissimi bambini presenti nella nostra scuola e ben esposta da Ugo Pirro nel suo libro:
“A Umberto fu assegnato ben presto un ruolo di elemento disturbatore, mentre era la vittima... i suoi comportamenti esasperavano. Veniva continuamente espulso dalla classe, isolato nei corridoi. Nessuno sospettava che egli cercava di nascondere il suo disturbo spingendo la professoressa di turno a escluderlo dalla lezione, proprio per non mostrare a tutti la sua difficoltà di lettura, la sua scrittura faticosa e sofferta....
Il preside mi ascoltava indignato e incredulo, sosteneva che Umberto era stato maleducato, che lo scarso profitto era dovuto semplicemente alla cattiva volontà, alla mancanza di applicazione allo studio. Umberto disturbava, comprometteva lo svolgimento dei programmi e dunque bisognava operare per eliminare quel corpo estraneo alla scuola....
Importante era che Umberto restasse fermo, muto, presente ma come assente, che permettesse agli altri di imparare e gli sarebbe stato perdonato anche l'analfabetismo".
Consapevole che il rapporto che avrei saputo instaurare con i miei alunni sul piano umano era fondamentale e che ero assolutamente certa di non volermi servire del micidiale metodo globale, ho integrato le letture e gli spunti di alcuni autori con quanto mi serviva ed ho creato un metodo particolare, da svolgersi con l’aiuto della famiglia e in assoluta concomitanza con quanto viene fatto in classe.
Per prima cosa ho dedicato le prime due settimane di scuola, insieme alla mia collega Sara, ad uno stretto dépistage dei bambini, per scoprirne le difficoltà peculiari cui dover rimediare, in particolare per quanto riguarda proprio la dislessia..
Il metodo da me ideato ed applicato ha avuto successo sia con i due bambini dislessici lievi sia con quello più grave.
Posso dirlo con certezza visto che sono passati più di vent’anni e questi ragazzi sono ormai giunti all’Università!
E’ ben vero che il bambino dislessico piu’ grave ha avuto la fortuna di avere una madre che si e’ dedicata con molto impegno ad eseguire quanto da me prescritto e il bambino (come gli altri meno gravi) ha potuto così raggiungere la “guarigione” in tempi ragionevoli e, soprattutto, senza sentirsi “diverso” nel contesto della classe (dove venivano attuati spesso anche gli esercizi specifici suggeriti nel programma.
Devo peraltro osservare che le iniziative “extra orario” di recupero delle difficoltà di 4/5 bambini (ritorno per due ore nel pomeriggio per due volte a settimana) da me messe in atto con assoluta gratuità e all’interno dell’edificio scolastico, non hanno avuto successo per nulla, vista l’ostilità del corpo insegnante e dell’ingiunzione del direttore a smettere i recuperi!.
Il metodo si rivolge ai bambini che entrano nella prima classe elementare e non è certo adatto a bambini più grandi e già scolarizzati o addirittura ad adolescenti.
Ipotizzo però che alcuni aspetti del metodo (lettura verticale e ritmo di battuta delle vocali, svolto ripartendo da zero e senza fretta, con lo scopo di giungere solo attraverso fasi successive alla lettura “orizzontale” normale) potrebbe ottenere un qualche successo anche con i ragazzi più grandi.
“La dislessia è un disturbo che impedisce il normale apprendimento di lettura e scrittura...
Secondo le statistiche rilevate in diversi paesi, la frequenza della dislessia è indicata nella misura del 5-10% dell'intera popolazione scolastica; in pratica un bambino su 10.
Il 5% di questa percentuale lo è in modo molto grave.
Il che significa che in una classe di circa venti bambini, vi sono buone probabilità di trovare un dislessico grave e due o tre non gravi. .......
Considerando che il numero e la gravità dei bambini dislessici aumenta nelle scuole dove è applicato il “Metodo Globale” (in Italia quasi il 98% - il metodo globale presenta come prima cosa una intera frase, da copiare per più giorni fino all’ automatica decodificazione in parole prima, in sillabe e lettere poi, da parte degli alunni)) ....si è osservata la necessità di aiutare il bambino ... con un metodo diverso...
Il metodo utilizzato, sia esso sillabico o analitico, non modifica i risultati che si ottengono nell'apprendimento della lettura e della scrittura....”
CARLA CAVAZZUTI PAVAROTTI, FRANCA TONI GIOVANARDI - LA RIEDUCAZIONE DEL DISLESSICO NELLA SCUOLA ELEMENTARE - EDITRICE LA SCUOLA , 1982, BRESCIA,
I miei studi messi in atto non appena ho saputo di dovermi occupare di una classe prima, mi hanno messo in contatto con la tragica realtà di questi tantissimi bambini presenti nella nostra scuola e ben esposta da Ugo Pirro nel suo libro:
“A Umberto fu assegnato ben presto un ruolo di elemento disturbatore, mentre era la vittima... i suoi comportamenti esasperavano. Veniva continuamente espulso dalla classe, isolato nei corridoi. Nessuno sospettava che egli cercava di nascondere il suo disturbo spingendo la professoressa di turno a escluderlo dalla lezione, proprio per non mostrare a tutti la sua difficoltà di lettura, la sua scrittura faticosa e sofferta....
Il preside mi ascoltava indignato e incredulo, sosteneva che Umberto era stato maleducato, che lo scarso profitto era dovuto semplicemente alla cattiva volontà, alla mancanza di applicazione allo studio. Umberto disturbava, comprometteva lo svolgimento dei programmi e dunque bisognava operare per eliminare quel corpo estraneo alla scuola....
Importante era che Umberto restasse fermo, muto, presente ma come assente, che permettesse agli altri di imparare e gli sarebbe stato perdonato anche l'analfabetismo".
Consapevole che il rapporto che avrei saputo instaurare con i miei alunni sul piano umano era fondamentale e che ero assolutamente certa di non volermi servire del micidiale metodo globale, ho integrato le letture e gli spunti di alcuni autori con quanto mi serviva ed ho creato un metodo particolare, da svolgersi con l’aiuto della famiglia e in assoluta concomitanza con quanto viene fatto in classe.
Per prima cosa ho dedicato le prime due settimane di scuola, insieme alla mia collega Sara, ad uno stretto dépistage dei bambini, per scoprirne le difficoltà peculiari cui dover rimediare, in particolare per quanto riguarda proprio la dislessia..
Il metodo da me ideato ed applicato ha avuto successo sia con i due bambini dislessici lievi sia con quello più grave.
Posso dirlo con certezza visto che sono passati più di vent’anni e questi ragazzi sono ormai giunti all’Università!
E’ ben vero che il bambino dislessico piu’ grave ha avuto la fortuna di avere una madre che si e’ dedicata con molto impegno ad eseguire quanto da me prescritto e il bambino (come gli altri meno gravi) ha potuto così raggiungere la “guarigione” in tempi ragionevoli e, soprattutto, senza sentirsi “diverso” nel contesto della classe (dove venivano attuati spesso anche gli esercizi specifici suggeriti nel programma.
Devo peraltro osservare che le iniziative “extra orario” di recupero delle difficoltà di 4/5 bambini (ritorno per due ore nel pomeriggio per due volte a settimana) da me messe in atto con assoluta gratuità e all’interno dell’edificio scolastico, non hanno avuto successo per nulla, vista l’ostilità del corpo insegnante e dell’ingiunzione del direttore a smettere i recuperi!.
Il metodo si rivolge ai bambini che entrano nella prima classe elementare e non è certo adatto a bambini più grandi e già scolarizzati o addirittura ad adolescenti.
Ipotizzo però che alcuni aspetti del metodo (lettura verticale e ritmo di battuta delle vocali, svolto ripartendo da zero e senza fretta, con lo scopo di giungere solo attraverso fasi successive alla lettura “orizzontale” normale) potrebbe ottenere un qualche successo anche con i ragazzi più grandi.
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RAPPORTO INSEGNANTE ALUNNO

PREGIUDIZIALE ALL’APPRENDIMENTO
Jerome S. Bruner – Verso una teoria dell’istruzione –
1967 - Armando Armando Editore, Roma
“E' consuetudine, nel discutere di predisposizioni ad apprendere, porre l'accento su fattori culturali, motivazionali e personali, che influiscono sul desiderio di imparare e di affrontare la soluzione di problemi, fattori che sono di estrema importanza.
Esiste, per esempio, la relazione tra docente e discente, qualunque sia la posizione formale del docente, sia esso un insegnante o un genitore.
Poiché si tratta di una relazione tra qualcuno che possiede qualcosa ed un altro che non la possiede, la situazione didattica implica sempre per sua natura il problema dell'autorità.
Il modo con cui viene regolata questa relazione di autorità influisce sulla natura dell'apprendimento, sul grado di sviluppo di una capacità autonoma da parte di chi apprende, sul grado di fiducia del discente nella propria capacità di fare per conto proprio e cosi via.
La relazione tra chi istruisce e chi viene istruito non è mai priva di effetti sull'apprendimento e poiché il processo didattico è essenzialmente sociale, particolarmente nei suoi stadi iniziali... appare chiaro come il bambino, specialmente se deve adattarsi alla scuola, abbia bisogno di una minima padronanza di quelle capacità sociali necessarie per addentrarsi nel processo didattico....
Esistono differenti atteggiamenti nei riguardi dell'attività intellettuale a seconda delle classi sociali, dei due sessi, delle differenti età, dei diversi gruppi etnici.
Anche questi atteggiamenti, culturalmente trasmessi, si ripercuotono sull'impiego delle facoltà mentali. “
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DISLESSIA - PREVENZIONE

DéPISTAGE IN PRIMA ELEMENTARE
Sara (che mi avrebbe coadiuvato nella classe per circa sei ore a settimana) ed io decidemmo che i primi giorni dell’anno con i bambini sarebbero stati dedicati in modo particolare all’indagine dei prerequisiti esistenti nei bambini e dei “problemi” più gravi che avremmo dovuto affrontare.
A questo scopo per tutto il primo mese di scuola abbiamo lavorato con schede grafiche, esercizi motori e osservazione allo scopo di individuare il più presto possibile la presenza di bambini in particolari difficoltà, allo scopo di poter intervenire prontamente dove possibile.
Facendoli camminare carponi a quattro zampe per osservare la correlazione del movimento notammo M., che andava molto lentamente e non riusciva assolutamente a coordinare mani e gambe. Si sarebbe presto rivelato un tipico dislessico grave, pur essendo un bambino discretamente intelligente e riflessivo.
Il dépistage da noi messo in essere ci ha consentito di individuare un bambino dislessico in modo accentuato, un bambino ipercinetico e molto lento nella comprensione, un bambino moderatamente autistico, un bambino assolutamente disadattato all’ambiente scolastico per motivi familiari, oltre ad evidenziare alcuni casi dubbi e le diversità naturalmente presenti in un gruppo di bambini.
L'osservazione durò intensa per circa due settimane, poi Sara ed io, in strettissimo coordinamento, cominciammo ad adottare le diverse strategie didattiche e metodologiche che ci sembrarono più efficaci.

Potemmo anche notare un bambino, C., che non sapeva letteralmente né camminare, né correre, ma si spostava solo saltellando di traverso, un po’ come un gamberetto.
Avrei poi dovuto scoprirne le motivazioni nel suo vissuto familiare (il padre, morto prima della sua nascita in una escursione in montagna, aveva prodotto una reazione di eccessiva prudenza nella mamma e soprattutto nei nonni, che non consentivano al bambino alcuna esperienza motoria autonoma, tenendolo sempre a mano e senza mai farlo camminare su muretti o bordi).
Oltre a non saper camminare, C. non sapeva neppure stare seduto: scivolava continuamente dalla sedia sul pavimento, pur sembrando interessato a seguire quanto veniva fatto in classe e si fermava lì a lungo, muovendosi continuamente le dita delle mani davanti agli occhi.
C. rappresentava davvero un mistero: si esprimeva con un linguaggio ricco e ricercato, in perfetto italiano (divenne il nostro “esperto di scienze”!). All’inizio avevo pensato provenisse da una famiglia molto acculturata ...! Poi venni invece a scoprire che passava le sue giornate con i nonni analfabeti, visto che la madre (diplomata) lavorava tutto il giorno; tutta la famiglia, comunque, parlava sempre e solo in dialetto!
Vi era poi L.C., molto sviluppato fisicamente e di temperamento giocoso, che manifestava una evidente lentezza mentale nell’apprendimento (già emersa all’asilo), ma che era bravissimo nelle attività manuali.
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lunedì 15 ottobre 2007
COMUNE INADEMPIENTE, MAESTRA INTRAPRENDENTE
NON IL BUIO DELL'IGNORANZA!

Era una settimana che in classe non potevamo far niente.
Per l’ennesimo giorno ci ritrovammo, i bambini ed io, nell’aula semibuia: erano rotte le uniche due lampadine al neon del soffitto, fuori, Venezia era, come spesso d'inverno, grigia e nebbiosa.
Non ci si vedeva quasi neppure per camminare tra i banchi.
La richiesta urgente al Comune perché cambiasse le lampadine, fatta tramite il direttore, non aveva avuto alcun esito.

Dissi ai bambini di rivestirsi e prendere la cartella.
Dopo mezz’ora eravamo in una sala d’attesa del comune, i bambini stesi a terra tra il via vai della gente, io in piedi: non troppo comodi.... ma cominciai a far lezione, mentre i bambini si ingegnavano a scrivere sui loro quadernoni.
“Ma cosa fate? Non si può stare qui!” disse un vigile esterrefatto.
“Eh, lo so – gli risposi - ma non so proprio come fare a far lezione al buio! Questo in fondo, come la scuola, è un locale pubblico di proprietà del Comune e quindi possiamo ben starci!”.
Fu così che il giorno dopo trovammo l’aula finalmente debitamente illuminata!
MEDICO DI FORTUNA
Quel giorno eravamo usciti, come al solito, ad osservare la città.
Eravamo andati piuttosto lontani (quasi un’ora di strada), fino a Piazza San Marco (la scuola era nel quartiere periferico di Santa Marta e una bambina non aveva mai visto la Piazza).
Tiziana si chinò all’improvviso per un dolore.
Ormai, dopo le peritoniti dei miei figli, mi ero impratichita: la feci stendere su di una panchina e ... la visitai rapidamente.
Dopo di che decisi di non farla più camminare.
Al telefono di casa sua non rispondeva nessuno: tutti erano al lavoro.
Venezia, per chi si sente male, è una città molto difficile!
Così mi caricai la bambina “a cavacecio” e tornammo alla lontana scuola.
Fu operata di appendicite nel pomeriggio!

Era una settimana che in classe non potevamo far niente.
Per l’ennesimo giorno ci ritrovammo, i bambini ed io, nell’aula semibuia: erano rotte le uniche due lampadine al neon del soffitto, fuori, Venezia era, come spesso d'inverno, grigia e nebbiosa.
Non ci si vedeva quasi neppure per camminare tra i banchi.
La richiesta urgente al Comune perché cambiasse le lampadine, fatta tramite il direttore, non aveva avuto alcun esito.

Dissi ai bambini di rivestirsi e prendere la cartella.
Dopo mezz’ora eravamo in una sala d’attesa del comune, i bambini stesi a terra tra il via vai della gente, io in piedi: non troppo comodi.... ma cominciai a far lezione, mentre i bambini si ingegnavano a scrivere sui loro quadernoni.
“Ma cosa fate? Non si può stare qui!” disse un vigile esterrefatto.
“Eh, lo so – gli risposi - ma non so proprio come fare a far lezione al buio! Questo in fondo, come la scuola, è un locale pubblico di proprietà del Comune e quindi possiamo ben starci!”.
Fu così che il giorno dopo trovammo l’aula finalmente debitamente illuminata!
MEDICO DI FORTUNA
Quel giorno eravamo usciti, come al solito, ad osservare la città.
Eravamo andati piuttosto lontani (quasi un’ora di strada), fino a Piazza San Marco (la scuola era nel quartiere periferico di Santa Marta e una bambina non aveva mai visto la Piazza).
Tiziana si chinò all’improvviso per un dolore.
Ormai, dopo le peritoniti dei miei figli, mi ero impratichita: la feci stendere su di una panchina e ... la visitai rapidamente.
Dopo di che decisi di non farla più camminare.
Al telefono di casa sua non rispondeva nessuno: tutti erano al lavoro.
Venezia, per chi si sente male, è una città molto difficile!
Così mi caricai la bambina “a cavacecio” e tornammo alla lontana scuola.
Fu operata di appendicite nel pomeriggio!
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SCACCHI INSEGNATI AI BAMBINI - 3^ e 4^ TAPPA
TERZA TAPPA
Distribuisco scacchiere e giochi ripetendo rapidamente quanto già precedentemente appreso.
1.
Passo a spiegare la MOSSA, utilizzando la mia scacchiera magnetica:
- DELL’ALFIERE (con le stesse modalità usate per la torre),
- della REGINA (che è torre ed alfiere insieme) e
- del RE (come la regina “ma, poveretto, fa solo un
passettino per volta perché ha un manto di ermellino pesantissimo!”).
Quando presento il nuovo pezzo, ne racconto brevemente la storia (l'Alfiere ha rappresentato storicamente vari personaggi, tra i quali perfino il Vescovo ...)
Per l'alfiere è opportuno far provare a tutti, almeno due o tre volte, la diagonale sulla propria scacchiera, controllando di persona ogni coppia di bambini.
Per alcuni di loro, infatti, è più difficile tracciare la diagonale corretta e talvolta "scantonano".
Generalmente però è l'avversario o qualche sveltone vicino che se ne accorge e interviene nella correzione!
AVVERTENZA: sia per il movimento della Torre, che per quello dell’Alfiere e della Regina i bambini hanno difficoltà:
a) a visualizzare con esattezza e velocità le diagonali;
b) a capire che il cambio di direzione richiede due mosse distinte (per alcuni ci vorranno più correzioni nel tempo, ma sistemando le coppie disomogenee per livello si ha la possibilità del controllo da parte dell’altro giocatore).
2.
Ora i bambini possono giocare con tutti i pezzi, escluso il cavallo.
3.
Domande e dubbi saranno molti, come anche le occasioni di litigio:
la mano alzata chiamerà l’ARBITRO, il quale ogni volta spiegherà pacatamente che è necessario non disturbare il gioco degli altri con grida e battibecchi, ma basta chiamarlo ed egli deciderà in modo inappellabile.
E' opportuno prevedere un quarto d'ora di tempo perchè i bambini possano cimentarsi in una "vera" partita tra loro.
Non è opportuno invece introdurre, già adesso, alcun cenno di strategia di gioco.
COROLLARIO:
finito il tempo di gioco le partite ora potranno anche essere sospese.
I bambini che già conoscono la lettura delle coordinate possono anche, qualora desiderino continuare la volta dopo, annotare in un foglio a quadretti la posizione dei singoli pezzi nelle diverse case, contraddistinte da lettere e numeri.
Non occorre interessarsi della cosa, se sbagliano se ne accorgeranno da soli in seguito e provvederanno!
La tappa si concluderà sempre con le stesse pignole modalità imparate alla prima.
QUARTA TAPPA
Distribuiti scacchiere e giochi,i bambini possono subito iniziare a giocare.
1.
Dopo un poco, alle coppie che non fanno errori, insegno SINGOLARMENTE la PRIMA MOSSA DEL PEDONE (che può essere anche di due quadretti "case").
2.
E’ anche il momento di spiegare ai bambini che è obbligatorio dichiarare lo SCACCO AL RE quando lo si minaccia direttamente con qualche pezzo, minaccia che può venire anche dal semplice pedone.
3.
Il RE non può assolutamente mettersi in pericolo da solo: se non può scappare o non può eliminare in qualche modo chi lo minaccia, allora c’è lo SCACCO MATTO e la partita è persa, anche se si hanno ancora tutti gli altri pezzi
(i bambini fanno fatica ad accettare da subito questo concetto e bisognerà ribadirlo fino alla.. digestione; fanno fatica anche a sentire “obbligatorio” avvisare il nemico del pericolo).
Non dimenticarsi di concludere la tappa con una breve partita tra le coppie, e di applicare poi le solite pignole fasi di ordinamento.
Distribuisco scacchiere e giochi ripetendo rapidamente quanto già precedentemente appreso.
1.
Passo a spiegare la MOSSA, utilizzando la mia scacchiera magnetica:
- DELL’ALFIERE (con le stesse modalità usate per la torre),
- della REGINA (che è torre ed alfiere insieme) e
- del RE (come la regina “ma, poveretto, fa solo un
passettino per volta perché ha un manto di ermellino pesantissimo!”).
Quando presento il nuovo pezzo, ne racconto brevemente la storia (l'Alfiere ha rappresentato storicamente vari personaggi, tra i quali perfino il Vescovo ...)
Per l'alfiere è opportuno far provare a tutti, almeno due o tre volte, la diagonale sulla propria scacchiera, controllando di persona ogni coppia di bambini.
Per alcuni di loro, infatti, è più difficile tracciare la diagonale corretta e talvolta "scantonano".
Generalmente però è l'avversario o qualche sveltone vicino che se ne accorge e interviene nella correzione!
AVVERTENZA: sia per il movimento della Torre, che per quello dell’Alfiere e della Regina i bambini hanno difficoltà:
a) a visualizzare con esattezza e velocità le diagonali;
b) a capire che il cambio di direzione richiede due mosse distinte (per alcuni ci vorranno più correzioni nel tempo, ma sistemando le coppie disomogenee per livello si ha la possibilità del controllo da parte dell’altro giocatore).
2.
Ora i bambini possono giocare con tutti i pezzi, escluso il cavallo.
3.
Domande e dubbi saranno molti, come anche le occasioni di litigio:
la mano alzata chiamerà l’ARBITRO, il quale ogni volta spiegherà pacatamente che è necessario non disturbare il gioco degli altri con grida e battibecchi, ma basta chiamarlo ed egli deciderà in modo inappellabile.
E' opportuno prevedere un quarto d'ora di tempo perchè i bambini possano cimentarsi in una "vera" partita tra loro.
Non è opportuno invece introdurre, già adesso, alcun cenno di strategia di gioco.
COROLLARIO:
finito il tempo di gioco le partite ora potranno anche essere sospese.
I bambini che già conoscono la lettura delle coordinate possono anche, qualora desiderino continuare la volta dopo, annotare in un foglio a quadretti la posizione dei singoli pezzi nelle diverse case, contraddistinte da lettere e numeri.
Non occorre interessarsi della cosa, se sbagliano se ne accorgeranno da soli in seguito e provvederanno!
La tappa si concluderà sempre con le stesse pignole modalità imparate alla prima.
QUARTA TAPPA
Distribuiti scacchiere e giochi,i bambini possono subito iniziare a giocare.
1.
Dopo un poco, alle coppie che non fanno errori, insegno SINGOLARMENTE la PRIMA MOSSA DEL PEDONE (che può essere anche di due quadretti "case").
2.
E’ anche il momento di spiegare ai bambini che è obbligatorio dichiarare lo SCACCO AL RE quando lo si minaccia direttamente con qualche pezzo, minaccia che può venire anche dal semplice pedone.
3.
Il RE non può assolutamente mettersi in pericolo da solo: se non può scappare o non può eliminare in qualche modo chi lo minaccia, allora c’è lo SCACCO MATTO e la partita è persa, anche se si hanno ancora tutti gli altri pezzi
(i bambini fanno fatica ad accettare da subito questo concetto e bisognerà ribadirlo fino alla.. digestione; fanno fatica anche a sentire “obbligatorio” avvisare il nemico del pericolo).
Non dimenticarsi di concludere la tappa con una breve partita tra le coppie, e di applicare poi le solite pignole fasi di ordinamento.
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domenica 14 ottobre 2007
APPRENDIMENTO E GIOCO
Io ritengo che
perchè il bambino apprenda deve essere motivato e deve coniugare emotività e movimento fisico a quanto deve apprendere.
La motivazione principe è il gioco.
Attraverso il gioco è possibile far passare molti apprendimenti.
Ho creato un nuovo blog per pubblicare il materiale didattico da me prodotto, con le spiegazioni sull'uso dello stesso.
Al momento ho messo il primo cartellone prodotto, con la nota filastrocca:
LA PECORA NEL BOSCO
Inoltre ho aggiunto un ulteriore blog per raccogliere quanto prodotto dai bambini
perchè il bambino apprenda deve essere motivato e deve coniugare emotività e movimento fisico a quanto deve apprendere.
La motivazione principe è il gioco.
Attraverso il gioco è possibile far passare molti apprendimenti.
Ho creato un nuovo blog per pubblicare il materiale didattico da me prodotto, con le spiegazioni sull'uso dello stesso.
Al momento ho messo il primo cartellone prodotto, con la nota filastrocca:
LA PECORA NEL BOSCO
Inoltre ho aggiunto un ulteriore blog per raccogliere quanto prodotto dai bambini
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sabato 13 ottobre 2007
DIDATTICA DELLA LINGUA
– IL CONCERTINO

Il primo giorno di scuola, senza dire nulla ai bambini che seguivano quanto andavo facendo, ho scritto alla lavagna una serie di A e a, intervallate da “vuoti”:
poi ho spiegato ai bambini che io sarei andata con l’asticella sotto (con velocità uniforme) e loro dovevano
gridare la A maiuscola (così l’ho nominata)con quanto fiato potevano,
sussurrare la a minuscola
e fare il massimo silenzio (neppure una mosca si doveva sentire!) quanto l’asticella passava nei punti vuoti.
Va da sé che loro si sono molto divertiti ed io ho potuto rapidamente nei giorni a seguire introdurre tutte le vocali, poi alcune consonanti, poi la sillaba intera e così via.

Da parte loro hanno cominciato spontaneamente a “preparare dei concertini” per i compagni:
distribuivo delle striscioline di carta (reperita gratis presso i fotocopiatori).
Ciascun bambino ne poteva prendere e riempire a volontà, sia in classe che a casa.
Qualcuno ci scriveva anche il proprio nome (magari imparato all'asilo).
Io poi copiavo alla lavagna e tutti “cantavamo”.
In breve ebbi una produzione spontanea così vasta da parte di tutti i bambini (alcuni producevano molto, altri meno) che fummo costretti ad adottare il sorteggio.
– IL CONCERTINO

Il primo giorno di scuola, senza dire nulla ai bambini che seguivano quanto andavo facendo, ho scritto alla lavagna una serie di A e a, intervallate da “vuoti”:
poi ho spiegato ai bambini che io sarei andata con l’asticella sotto (con velocità uniforme) e loro dovevano
gridare la A maiuscola (così l’ho nominata)con quanto fiato potevano,
sussurrare la a minuscola
e fare il massimo silenzio (neppure una mosca si doveva sentire!) quanto l’asticella passava nei punti vuoti.
Va da sé che loro si sono molto divertiti ed io ho potuto rapidamente nei giorni a seguire introdurre tutte le vocali, poi alcune consonanti, poi la sillaba intera e così via.

Da parte loro hanno cominciato spontaneamente a “preparare dei concertini” per i compagni:
distribuivo delle striscioline di carta (reperita gratis presso i fotocopiatori).
Ciascun bambino ne poteva prendere e riempire a volontà, sia in classe che a casa.
Qualcuno ci scriveva anche il proprio nome (magari imparato all'asilo).
Io poi copiavo alla lavagna e tutti “cantavamo”.
In breve ebbi una produzione spontanea così vasta da parte di tutti i bambini (alcuni producevano molto, altri meno) che fummo costretti ad adottare il sorteggio.
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INSOPPORTABILI MAESTRI - NON copiare dalla lavagna

PERCORSO LINGUISTICO – 1 – NON copiare dalla lavagna
La mia convinzione profonda è che nessun bambino debba mai applicarsi in attività che non riesce a comprendere e dominare.
Il primo giorno di scuola, per i bambini che arrivano alla prima elementare, è per lo più un giorno di grandi aspettative ed entusiasmo.
Qualcuno piange nel lasciare i genitori, ma si tratta per lo più dei pochi bambini che non hanno mai frequentato l'asilo.
Il “copiato dalla lavagna”, così diffuso nelle scuole italiane, inizia subito ed ogni mattina dura ore e ore: a me appare come una insopportabile tortura imposta ai bambini (che già dopo due o tre giorni di scuola piangono e vorrebbero rimanere a casa, oppure sbadigliano già alla seconda ora.
Per loro è del tutto incomprensibile: "Oggi è ..... Io mi chiamo ..." (il loro nome invece lo copiano dal cartellino incollato appositamente sul banco).
E così via, giorno dopo giorno, ore di faticosissima noia per copiare questa frase incomprensibile, finchè grazie al famigerato "metodo globale" , qualcosa scatta e i bambini cominciano a capire che quelle sono parole formate da lettere distinguibili ....e scatta nella loro mente la composizione delle parole.
Non tutti però, alcuni ci arrivano tanto in ritardo da manifestare già dei comportamenti reattivi non positivi, altri (come i numerosi dislessici) non ci arriveranno mai e manifesteranno un risultato scolastico via via sempre più carente, iniziando in tal modo una carriera di disistima micidiale (dai risultati imprevedibili a tempi lunghi),
quando invece la loro intelligenza è normalissima e quella ad essere in difetto è solo la scuola.

il "sistema globale", pertanto, richiede ai bambini uno sforzo consistente e multiplo, in quanto:
devono gestire la matita o penna in modo adeguato
devono sforzarsi di riconoscere i singoli segni
devono concentrarsi nello sforzo senza alcuna gratificazione
Così mi sono inventata il CONCERTINO , con il quale, fin dal primo giorno di scuola, semplicemente giocando e senza che i bambini ne fossero consapevoli, ho potuto iniziare a perseguire importanti obiettivi:
-Soddisfazione immediata dell’esigenza di “imparare”
-Capacità di concentrazione e autocontrollo
-Conoscenza dei grafemi stampatelli maiuscolo e minuscolo
-Capacità di utilizzare i registri della voce (silenzio, gridata, sottovoce)
-Capacità di agire positivamente come individuo all’interno del “gruppo classe”
giovedì 11 ottobre 2007
SCACCHI INSEGNATI AI BAMBINI - 2^ TAPPA
SECONDA TAPPA
1. Distribuisco prima le scacchiere e i giochi e invito i bambini a mettere in pratica quanto già appreso; mentre giocano controllo e correggo gli eventuali errori di posizionamento, sia di scacchiera e pezzi, sia della postura corporale. Infine i bambini si troveranno con tutti i pedoni contrapposti.
2. Quando tutti saranno arrivati a questo punto, insegno la PRESA DEL PEDONE (uso questo specifico vocabolo) e lascio che tutti si mangino a volontà, nel silenzio generale, per alcuni minuti.
3. Ora dico ai bambini di liberare le scacchiere dai PEZZI, rimettendoli nella scatola, lasciando sulla scacchiera solo le TORRI posizionate correttamente.
4. Insegno la MOSSA DELLA TORRE in concreto, visualizzando il movimento sulla mia scacchiera. Insisto sul fatto che la torre può andare dove vuole, percorrendo anche tutta la lunghezza o larghezza della scacchiera, purché sempre dritta. Se deve girare può farlo soltanto con due mosse successive.
5. Contestualmente faccio notare che se la torre incontra sul suo cammino la “torre amica”, non potrà scavalcarla ma dovrà fermarsi nel quadretto prima, se invece trova una “torre nemica” potrà scegliere (è necessario che capiscano che si tratta di scelta effettuata da loro stessi) se fermarsi nella casa prima oppure PRENDERE IL PEZZO, mettendosi al suo posto (attenzione ai bambini che hanno in testa lo scavalcamento proprio del gioco della Dama).
6. Si faranno ora sistemare sulla scacchiera solo i pedoni e le torri e inizierà il gioco (circa 15’).
La tappa si concluderà sempre con le stesse pignole modalità imparate alla prima (LINK SOTTOSTANTE).
http://squolascuola.blogspot.com/2007/10/scacchi-insegnati-ai-bambini-in-6-tappe.html
1. Distribuisco prima le scacchiere e i giochi e invito i bambini a mettere in pratica quanto già appreso; mentre giocano controllo e correggo gli eventuali errori di posizionamento, sia di scacchiera e pezzi, sia della postura corporale. Infine i bambini si troveranno con tutti i pedoni contrapposti.
2. Quando tutti saranno arrivati a questo punto, insegno la PRESA DEL PEDONE (uso questo specifico vocabolo) e lascio che tutti si mangino a volontà, nel silenzio generale, per alcuni minuti.
3. Ora dico ai bambini di liberare le scacchiere dai PEZZI, rimettendoli nella scatola, lasciando sulla scacchiera solo le TORRI posizionate correttamente.
4. Insegno la MOSSA DELLA TORRE in concreto, visualizzando il movimento sulla mia scacchiera. Insisto sul fatto che la torre può andare dove vuole, percorrendo anche tutta la lunghezza o larghezza della scacchiera, purché sempre dritta. Se deve girare può farlo soltanto con due mosse successive.
5. Contestualmente faccio notare che se la torre incontra sul suo cammino la “torre amica”, non potrà scavalcarla ma dovrà fermarsi nel quadretto prima, se invece trova una “torre nemica” potrà scegliere (è necessario che capiscano che si tratta di scelta effettuata da loro stessi) se fermarsi nella casa prima oppure PRENDERE IL PEZZO, mettendosi al suo posto (attenzione ai bambini che hanno in testa lo scavalcamento proprio del gioco della Dama).
6. Si faranno ora sistemare sulla scacchiera solo i pedoni e le torri e inizierà il gioco (circa 15’).
La tappa si concluderà sempre con le stesse pignole modalità imparate alla prima (LINK SOTTOSTANTE).
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domenica 7 ottobre 2007
FUMO NEGLI OCCHI

Mozione da me presentata al Collegio dei Docenti in data 16 gennaio 1985
Preso atto che la legge 11 novembre 1975, n. 584, pubblicata sulla G.U. n.322 del 5.12.1975, (stralcio allegato alla presente mozione *)
VIETA ESPRESSAMENTE DI FUMARE NELLE SCUOLE (art.1)
che spesso è possibile rilevare infrazioni alla detta legge da parte degli insegnanti, bidelli e altro personale
deplora il comportamento non professionale di coloro che non osservano una legge dello Stato
Invita il direttore didattico (Dr.A.S.) a dar seguito a quanto disposto dagli articoli 1, 2 e 9 della legge citata.
"
art.1 - E’ vietato fumare ... nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado ... nei locali chiusi adibiti a pubbliche riunioni, nelle sale di riunione di accademia ....
art.2 - ...Coloro cui spetta per legge o regolamento assicurare l’ordine... curano l’osservanza del divieto ...
art.9 - Qualora non sia intervenuto il pagamento (della sanzione), i soggetti legittimati ad accertare le infrazioni presentano rapporto al Prefetto. "
In realtà sembravo essere l’unica ad avere interesse alla questione.
Il direttore, fumando la pipia anche nel Collegio dei Docenti da lui presieduto, fece un solo commento: “E’ da dimostrare che il fumo faccia male!” e non volle mettere in votazione la mia mozione.
Protestai, ma nessun altro insegnante mi sostenne e la cosa finì...in fumo!
BUROCRAZIA MIOPE
Per C., M. e qualche altro preparai degli speciali “Programmi” da attuare con l’aiuto della famiglia.
Due pomeriggi alla settimana li facevo tornare a scuola per un’oretta, per controllare il livello raggiunto e insegnare nuovi esercizi.
Un’altra ora, sempre bisettimanalmente. la dedicavo a far giocare i bambini più in difficoltà nell’apprendimento con dei giochi da me predisposti ad hoc: sorta di “gioco dell’oca”, di “prendi la bandierina”, ecc.
Questi giochi venivano in seguito fatti anche di mattina con tutta la classe , in modo che il “gruppetto” potesse parteciparvi del tutto alla pari.
Dopo un paio di mesi mi chiamò il direttore.
Non dovevo più proseguire, perché la cosa “costituiva un precedente”.
Gli spiegai che la mia prestazione era del tutto volontaria e gratuita, forse anche “dovuta”...
Fu irremovibile e dovetti contentarmi di controllare togliendo i bambini dalla classe, quando ero “in compresenza” con Sara.
Due pomeriggi alla settimana li facevo tornare a scuola per un’oretta, per controllare il livello raggiunto e insegnare nuovi esercizi.
Un’altra ora, sempre bisettimanalmente. la dedicavo a far giocare i bambini più in difficoltà nell’apprendimento con dei giochi da me predisposti ad hoc: sorta di “gioco dell’oca”, di “prendi la bandierina”, ecc.
Questi giochi venivano in seguito fatti anche di mattina con tutta la classe , in modo che il “gruppetto” potesse parteciparvi del tutto alla pari.
Dopo un paio di mesi mi chiamò il direttore.
Non dovevo più proseguire, perché la cosa “costituiva un precedente”.
Gli spiegai che la mia prestazione era del tutto volontaria e gratuita, forse anche “dovuta”...
Fu irremovibile e dovetti contentarmi di controllare togliendo i bambini dalla classe, quando ero “in compresenza” con Sara.
ANIMALI E CATEGORIE - di ILLICH IVAN

In un «estratto da un'immaginaria enciclopedia cinese» Jorge Luis Borges cerca di evocare quel senso di stordimento che un tentativo del genere non può non produrre.
Ci dice che gli animali si suddividono nelle seguenti classi:
«a) quelli che appartengono all'imperatore;
b) quelli che sono imbalsamati;
c) quelli che sono addomesticati;
d) i porcellini da latte;
e) le sirene;
f) quelli favolosi;
g) i cani randagi;
h) quelli inclusi nella presente classificazione;
i) quelli che finiscono per impazzire;
l) altri innumerevoli;
k) quelli dipinti con un sottile pennello di peli di cammello;
i) eccetera;
m) quelli che hanno appena rotto la brocca;
n) quelli che da lontano assomigliano alle mosche».
Ora, una tale tassonomia non sarebbe possibile se non ci fosse qualcuno che la ritiene utile ai propri scopi; nel caso particolare suppongo che questo qualcuno poteva essere un esattore fiscale.
Almeno per lui questa tassonomia delle bestie deve aver avuto un senso...
Ivan Illich, DESCOLARIZZARE LA SOCIETÀ, 1973, Arnoldo Mondadori Editore
venerdì 5 ottobre 2007
LEGGERE E CAPIRE

Ci eravamo riunite per mettere a fuoco, come la legge imponeva, “Gli obiettivi minimi” da raggiungere al termine della prima classe. Oltre alle quattro titolari (della quali una ero io) c’era anche Sara, che avrebbe affiancato le prime in quel suo ultimo anno prima di andare in pensione.
“Allora, per la lettura” disse la Cristina “Scrivo - Che sappiano leggere correntemente -“
“Ma comprendendo quel che leggono” aggiunsi io quasi meccanicamente, tanto per completare la frase di Cristina.
Ma lei, la Carla e Mario mi guardarono tutti insieme, tutti meravigliati allo stesso modo:
“Ma no, non importa!”.
Eravamo nei giorni precedenti l’inizio della prima elementare, credevo ancora che servisse spiegare, discutere le mie ragioni.
Cercai di convincere che saper leggere senza capire cosa si legge è peggio che non saper leggere affatto, è cosa che annoia i bambini, che non ha alcun senso e così via...
Macchè, dovetti desistere...
Con gli anni imparai a convivere con i miei colleghi, nel senso che gli “obiettivi” miei propri non sempre erano coincidenti con quelli presi collegialmente secondo la legge.
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BAMBINI NEL TEMPO
“Signora, signora..”
Sonia ed io stavamo passeggiando e parlavamo tra noi... non sentimmo.
“Signora, signora...”
Mi fermai guardando in giro. Chi poteva mai chiamarmi?
Era una sconosciuta bambina di circa otto anni che mi interpellava da un balcone al terzo piano di una casa.
Quando mi vide che mi ero accorta di lei, mi lanciò una domanda a bruciapelo:
“Sono passati dieci minuti?”
Rimasi sorpresa ed interdetta.
Poi si fece rapidamente strada in me la spiegazione:
evidentemente la bambina era stata isolata nel balcone per punizione “per dieci minuti”, ma quando....?
“No, no, manca ancora un pochino” le gridai dalla strada.
Sonia ed io stavamo passeggiando e parlavamo tra noi... non sentimmo.
“Signora, signora...”
Mi fermai guardando in giro. Chi poteva mai chiamarmi?
Era una sconosciuta bambina di circa otto anni che mi interpellava da un balcone al terzo piano di una casa.
Quando mi vide che mi ero accorta di lei, mi lanciò una domanda a bruciapelo:
“Sono passati dieci minuti?”
Rimasi sorpresa ed interdetta.
Poi si fece rapidamente strada in me la spiegazione:
evidentemente la bambina era stata isolata nel balcone per punizione “per dieci minuti”, ma quando....?
“No, no, manca ancora un pochino” le gridai dalla strada.
giovedì 4 ottobre 2007
PIPI' E LAVORO

Si aprì la porta ed entrò la bidella: “La me scusa, maestra”,
“Dica, dica”.
Si mise le mani sui fianchi e, rivolta ai bambini seduti: “Chi xè che ga ancora pissà fora?!” (Chi è che ha ancora fatto fuori la pipi?).
Si era già lamentata con me altre volte.
Decisi giunto il momento di prendere in mano la questione.
Mi rivolsi quindi ai bambini: “Allora, a chi è successo di fare la pipì fuori del gabinetto?”
... Con mia grande meraviglia si alzarono ben cinque mani, tutte di maschietti.
“Allora vediamo, uno alla volta, tu, come mai è successo?”
“Mi scappava tanto tanto e non ho fatto in tempo!”
“E tu?”
“Non riuscivo a sbottonarmi i pantaloni”
“E tu?”
“Io la faccio sempre fuori, perché mia mamma mi ha detto di farla dalla porta, senza avvicinarmi, perché è tutto sporco!”.
In realtà quella bidella teneva i bagni puliti come ho visto raramente nelle scuole.
Ogni mezz'ora passava lo straccio e non c’era il minimo odore.
“Allora, Alessandro, devi riferire alla mamma che la maestra ha controllato i bagni tutti i giorni e sono sempre puliti, se vuole può venire a controllarli anche lei! Tu quindi non devi più sporcarli, ma prendere bene la mira da vicino!”.
La cosa finì così e la bidella se ne andò.
Devo dire che tutta la vicenda fu per me, insegnante, molto gratificante.
I bambini erano certamente fiduciosi nei miei riguardi, sinceri e soprattutto riuscivano a dare a tali argomenti l’importanza e la serenità appropriate: quando mai si erano visti ben cinque bambini alzare la mano per un fatto del genere?
Avevo proprio motivo di essere orgogliosa del mio rapporto con loro!
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GESSI PER LA LAVAGNA

Ero arrivata al terzo giorno di scuola, in prima classe alla Virgilio. Entrai in segreteria, mi inginocchiai davanti alla segretaria esterrefatta e chiesi: “Potrei, almeno per una volta, avere due pezzi di gesso tutti insieme?”
Li ottenni, ma con molte raccomandazioni di farmeli durare!
Così fu che presi la decisione di comprarmi una bella scatola di gessi, a spese mie, tutta mia, privatissima, da tenere sotto chiave...
E non di quei gessi quadrati e polverosi che fanno tossire in continuazione, ma di quelli tondi lisci che rilasciano pochissima polvere! (E pensare che eravamo quasi nel 2000!)
Quando mi fu assegnata la nuova sede vicino a casa, andai a presentarmi al direttore nuovo.: “Si accomodi, signora, mi dia le sue generalità...” “Mi chiamo B Maria Cornelia...” Lui scrisse, poi si fermò e mi chiese: “Corneglia con la g?”.
Lo guardai incredula! Ma com’era possibile tanta grossolana ignoranza?
E’ ben vero che mi era già capitato, in occasione dei corsi che tenevo agli insegnanti, di meravigliarmi ancora per l’ignoranza dei direttori scolastici...
Era andata così. Spiegavo, in quella occasione, che mi sarebbe servito per la lezione un “planisfero”. “Ma signora, lei usa queste parole tecniche...” mi disse il brav’uomo che fungeva da direttore in quella scuola di N. La presi come una spiritosata, ma tale non era perché, a successiva altra richiesta del planisfero egli mi disse: “Ma mi dica almeno che cos’è!”.
Rimasi trasecolata e non so se fui brava a nascondere la meraviglia!!!
Per C., M. e qualche altro preparai degli speciali “Programmi” da attuare con l’aiuto della famiglia.
Due pomeriggi alla settimana li facevo tornare a scuola per un’oretta, per controllare il livello raggiunto e insegnare nuovi esercizi.
Un’altra ora, sempre bisettimanalmente. la dedicavo a far giocare i bambini più in difficoltà nell’apprendimento con dei giochi da me predisposti ad hoc: sorta di “gioco dell’oca”, di “prendi la bandierina”, ecc.
Questi giochi venivano in seguito fatti anche di mattina con tutta la classe , in modo che il “gruppetto” potesse parteciparvi del tutto alla pari.
Dopo un paio di mesi mi chiamò il direttore.
Non dovevo più proseguire, perché la cosa “costituiva un precedente”.
Gli spiegai che la mia prestazione era del tutto volontaria e gratuita, forse anche “dovuta”... Fu irremovibile e dovetti contentarmi di controllare togliendo i bambini dalla classe, quando ero “in compresenza” con Sara.
Una mattina di ottobre i bambini ed io, entrando in classe dopo la notte di pioggia, avevamo trovato varie pozzanghere sul pavimento.
Su un paio di banchi era abbondantemente piovuto, bagnando i libri che i bambini vi avevano riposto. (In altri giorni di pioggia, essendo noi presenti, erano bastati alcuni secchi messi qui e là per la classe).
Questo episodio si aggiungeva alle ferite provocate dal legno rotto di molte sedie, alla caduta fatta inciampando sulla non-mattonella, ecc.
Le lagnanze esasperate dei bambini e anche il mio stesso sbigottimento, fece sì che, quel giorno, si parlasse della cosa, di chi doveva provvedere ecc.
I bambini stessi, già abituati dalla prima a muoversi autonomamente, proposero di scrivere al Sindaco (e fui fiera dell’interiorizzazione di quanto avevo fin lì trasmesso) e, come sempre, composero insieme la lettera.
Naturalmente io ero presente per guidarli nella questione.
Un bambino propose poi di inviare la lettera anche al Gazzettino. Non vidi motivo per oppormi.
Comunque la pubblicazione della lettera ebbe l’effetto di far venire il giorno dopo gli operai a riparare il tetto della nostra classe (non quello di altre classi, però...)
La cosa suscitò nel direttore un certo comprensibile disappunto ed egli affrontò la cosa malamente, senza comprendere che quanto avvenuto era da lui inoppugnabile.
Mi fece una nota inopportuna, cui mi fu facile rispondere per le rime...
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mercoledì 3 ottobre 2007
PLANISFERO STORIE

“Vorrei un planisfero” dissi alla vecchia maestra che distribuiva i sussidi didattici della scuola.
Mi guardò addirittura scandalizzata: “Un planisfero! In prima classe! Ma no, si usa solo in quinta!”
Cercai di spiegarle che io ne avrei fatto un uso del tutto particolare e che... insomma, mi serviva UN PLANISFERO!
Lei, guardandomi in modo riprovevole, ma non osando contrapporsi più di tanto, andò in fondo allo stretto deposito, nel quale erano accatastati in bell’ordine sulle rastrelliere le carte geografiche in gran numero (dono della Cassa di Risparmio), compresi diversi planisferi.
“Umh, umh...vediamo un po’... no... no... ecco, questo qui... è un po’ rotto...”.
Estrasse dal braccio più in basso della rastrelliera un vecchio planisfero stracciato e ciancicato.
“Ma sì, ma sì... ci metterò un po’ di scocht, grazie...” dissi un po’ a denti stretti, ma, alla fin fine, avevo conquistato il mio planisfero!
Lo appesi in classe e cominciai a raccontare ai bambini delle storie “con il dito”. Chiedevo a uno e all’altro: “Noi siamo qui, a Venezia, vuoi andare con la nave, con il treno o con l’aereo?” e ancora “Vuoi andare dove fa freddo o dove fa caldo?”.
A seconda della risposta cominciavo: “Un giorno Mauro decise di fare un viaggio. Mise in valigia una giacchetta, prese l’impermeabile e andò al porto per prendere una nave...” e intanto il mio dito percorreva l’Adriatico, il Mediterraneo, l’Oceano “Ecco lo Stretto di Gibilterra, quanto mare, è l’Oceano” infine approdavo in qualche porto del Brasile dove a Mauro capitavano avventure fantastiche nella foresta amazzonica.
Poi è toccato a loro, a turno, "fare i viaggi e raccontare le avventure": qualcuno, avendo scelto di fare il viaggio in treno, andava col dito sul mare.... senza il "traghetto": che risate, che fantasie scherzose...
Ben presto il treno, come la nave, fu ... indotto da tutti a seguire dei percorsi obbligati, non potendo passare sulle Alpi altro che nei punti dei tunnel, ecc. Solo l’aereo consentiva di passare indifferentemente su acqua, monti e terra.
Dopo due o tre mesi, quando ci servì spazio alle pareti, l’usatissimo planisfero venne arrotolato, ma ogni tanto alcuni bambini lo stendevano a terra e, sdraiati, lo utilizzavano scambiando ipotesi e storie.
Va da sé che arrivarono a conoscere tutti abbastanza bene una certa terminologia e logistica geografica: POLO SUD, POLO NORD, AMERICA, AUSTRALIA, ISOLE DEL PACIFICO, ANDE, FORESTA AMAZONICA, PAMPAS, DESERTO, OCEANO, MAR MEDITERRANEO, ALPI, e via dicendo.
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martedì 2 ottobre 2007
SCACCHI INSEGNATI AI BAMBINI - in 6 tappe

(il mio metodo , ripreso dalla Federscacchi italiana, è stato da me ideato e collaudato per più anni. Prevede che i bambini abbiano almeno 7 anni e non più di 11 anni: dopo tale età l’approccio deve essere diversificato)
1^ PUNTATA (ritmo settimanale) - introduzione e prima tappa.
LE MOTIVAZIONI
PERCHE' INSEGNARE GLI SCACCHI AI BAMBINI?
Perché è un gioco, ma soprattutto perché gli scacchi sono un eccezionale strumento per raggiungere alcuni fondamentali obiettivi nello sviluppo della mente, della personalità, del comportamento sociale.
1) sviluppo mentale: il gioco consente di adire una sicura conoscenza spaziale, una coordinazione oculo-motoria importante, l’aumento della facoltà di concentrazione e memoria in situazioni via via più complesse, lo sviluppo di specifiche capacità inerenti a riflessione e rielaborazione di concetti;
2) sviluppo della personalità: controllo del proprio corpo (la corretta postura durante il gioco è rilevante, come anche il controllo delle mani e della voce!), conoscenza e superamento dei propri limiti (ivi comprese timidezza e aggressività), capacità di assorbire l’eventuale sconfitta in un contesto più ampio e positivo, aumento della capacità di impegnarsi, aumento dell’autonomia e della responsabilizzazione personale;
3) sviluppo del comportamento sociale: conoscenza e rispetto degli altri, accettazione e adattamento alle regole, possibilità di interagire anche con individui che parlano un’altra lingua, esercizio di pazienza e tolleranza ecc.
COME INSEGNARE GLI SCACCHI AI BAMBINI?
Elemento necessario è che ogni fase dell’apprendimento sia sempre divertente e i bambini possano trovare in essa motivo di interesse e soddisfazione.
I bambini devono SCEGLIERE di imparare questo gioco senza esservi forzati, ma solamente invogliati, altrimenti saranno di disturbo (a questo impegno volontario iniziale potranno in seguito essere richiamati coloro che tengono comportamenti non idonei).
LA TECNICA - riservata all'insegnante: ne potranno essere partecipi eventualmente i genitori solo a fine corso, per evitare anticipazioni e interferenze fuorvianti)
Quella da me sperimentata con successo si articola in sei tappe distanziate tra loro di due o tre giorni.
Durante questo intervallo i bambini NON dovranno utilizzare il gioco degli scacchi.
Lo svolgimento di ogni tappa ha una durata non superiore ai 35 minuti divisi, indicativamente, in dieci minuti di spiegazioni e 25 di gioco (salvo la prima, nella quale il rapporto è inverso).
1^ fase, costituita da 6 tappe
PRIMA TAPPA
I bambini vengono divisi in coppie (omogenee per età il più possibile): quando sono finalmente seduti e zitti, in attesa, si dà inizio alla spiegazione.
La mia esposizione ha luogo in una “atmosfera di attesa” che ottengo con qualche secondo di silenzio da parte mia, mentre guardo quasi uno per uno i diversi bambini. Poi inizio a parlare a voce bassa e molto lentamente.
Prima di tutto faccio alzare la mano a tutti i bambini che conoscono il gioco della “dama” e dico loro che devono assolutamente cancellarlo dalla loro testa per poter imparare gli scacchi. Ci rimangono un po’ male, ma se lo ricorderanno meglio!
1. Presento la SCACCHIERA (se non si ha una lavagna/scacchiera si può tenerne una sempre davanti a sé, in verticale, durante le spiegazioni) come un “campo di battaglia” in cui si affrontano due forze nemiche, il bianco e il nero.
2. Spiego che ogni bambino imparerà a manovrare il proprio “esercito” per battersi contro l’avversario.
3. Sempre in silenzio (se parlano mi fermo e li guardo senza dire niente) distribuisco ad ogni coppia la scacchiera.
4. Immediatamente dopo pongo ai bambini il quesito: “La mettete a casaccio?”. Lo stupore che suscita questa domanda (molti bambini non avevano certamente pensato che la scacchiera avesse un “verso”) mi dà modo di indicare efficacemente che il quadrato bianco, la CASA bianca (uso questo termine indicandola con il dito sulla mia scacchiera verticale) deve essere alla destra di ciascun giocatore. Attenzione: bisogna accertarsi che tutti sappiano con sicurezza da che parte sta la destra, facendo alzare la mano corrispondente, dato che la presenza dei mancini non consente altri riferimenti (questo controllo impegna i bambini in modo particolare, giacché il loro avversario, posto di fronte, alzerà la mano in senso contrario). Il tempo dedicato a questo esercizio di POSIZIONAMENTO DELLA SCACCHIERA è efficace, in quanto difficilmente verrà dimenticato in seguito, anche se per qualcuno ci sarà ancora necessità di controllo nelle tappe seguenti.
5. Quando tutti sono con la scacchiera a posto, avviso rapidamente i bambini che gli scacchi sono “persone serie” e non vogliono rotolare sul pavimento, essere battuti o strisciati, ma vogliono sempre essere trattati educatamente: a questo punto distribuisco i giochi ponendo in mezzo a ciascuna scacchiera la scatola che contiene gli scacchi e avvisando di attendere le istruzioni per aprirla (se le coppie sono numerose bisogna sbrigarsi).
6. Insegno ora a tutti insieme come DISPORRE I PEZZI (mantengo sempre la voce bassa e vellutata e mi fermo pazientemente se qualcuno parla): ciascuno dovrà cercare e togliere dalla scatola il pezzo richiesto e posizionarlo; da parte mia controllerò che tutti abbiano disposto con esattezza il proprio pezzo.
a) La fortezza, cioè la TORRE. “Dove la mettereste?” chiedo: in generale ci indovinano e ne sono molto soddisfatti.
b) “Subito vicino la cavalleria, rappresentata dal CAVALLO!”: è facile!
c) “Ora prendete l’ALFIERE, quello con l’elmo in testa” (il taglio), “E’ il portabandiera” (questo pezzo non si aggancia ad esperienze dei bambini e l’accenno alla bandiera serve a renderlo più familiare).
d) Dopo una pausa “Attenzione, sono rimasti due case libere e due pezzi grandi: quella più bassa è la REGINA, DAMA molto, molto importante nel gioco, ma anche assai vanitosa, perciò la metterete nella casa del suo colore e il RE potrà mettersi nel posto che rimane”.
e) Infine “Ora sistemate i PEDONI, cioè i soldati, tutti in posizione davanti”.
Ciascun punto viene esposto a voce lenta. Anche le pause sono sufficientemente lunghe e tranquille. L’esperienza mi ha insegnato che questa presentazione consente, nella fase successiva, di riscontrare pochi errori che vengono di solito autocorretti.
Si rassicureranno i bambini dicendo loro che è normale commettere qualche errore per alcune volte e che la cosa non è molto importante.
Si spiegherà anche che non serve discutere per le divergenze, in quanto c’è un ARBITRO che viene chiamato alzando la mano, il quale deciderà la ragione in base alle regole.
Non è possibile concludere la prima tappa senza gratificare le attese di gioco dei bambini: si inizia quindi "a giocare".
Questo è il momento preciso per una IMPORTANTE PRECISAZIONE:
Faccio mettere loro le mani dietro la schiena: devono impegnarne una a tenere prigioniera l'altra!
Infatti insegno che si deve giocare “solo con gli occhi”, LA MANO deve restare “prigioniera” dietro la schiena senza mai “scappare” sulla scacchiera; quando occhi e cervello avranno messo a punto il movimento giusto E SOLO ALLORA, la mano, fulminea (faccio il veloce gesto accattivante!) uscirà da dietro la schiena, farà la MOSSA e tornerà prigioniera dietro.
E’ auspicabile che i bambini imparino questo controllo per evitare non solo noiosi aleggiamenti delle dita sopra la scacchiera, ma anche mosse precipitose che non possono più essere controllate dall’arbitro!
Inoltre bisognerà spiegare che “LA BOCCA deve rimanere sempre chiusa, come se si parlasse una lingua diversa da quella dell’avversario: infatti si può giocare anche con quelli che ne parlano una diversisissima dalla nostra”.
Questi stratagemmi sono finalizzati ad ottenere un giusto atteggiamento di “serietà”: lasciati liberi, i bambini comincerebbero a giocare con tutte e due le mani, toccando più pezzi contemporaneamente, scherzando tra loro e/o utilizzando i pezzi per giochi d’altro tipo, ecc.
1. Insegno quindi la più semplice MOSSA DEL PEDONE, limitandomi a dire che va avanti sempre dritto e di un solo quadretto per volta.
2. Dirò che PER PRIMO MUOVE IL BIANCO e che il gioco prosegue con MOSSE ALTERNE DEL BIANCO E DEL NERO.
3. In questo momento è determinante insegnare che LA MOSSA NON SI PUÒ’ RIPETERE: una volta fatta è fatta; così anche, se si TOCCA UN PEZZO si è obbligati a muoverlo.
4. Alla conclusione di questa fase i bambini si troveranno con i pedoni bloccati da quelli dell’avversario. Questa posizione suscita domande sulla prosecuzione cui si promette di dare risposta la volta dopo.
Ultima, necessaria e non secondaria parte della prima tappa:
Prima di andare via i bambini dovranno sistemare ordinatamente i pezzi sulla scacchiera, come alla partenza del gioco (per dar modo all’insegnante di controllare che ci siano tutti) e solo dopo questo controllo ogni coppia potrà alzarsi e andar via.
Torneranno per la 2^ tappa dopo non meno di 3 e non più di 5 giorni. Nel frattempo non devono avere accesso agli scacchi, allo scopo di mantenere in tensione il desiderio di apprendere il gioco.
In seguito l’insegnante (eventualmente coadiuvata dai più idonei) provvederà a rimettere i pezzi nelle scatole e metter via tutto il materiale.
In questo modo dovranno concludersi tutte le tappe e occasioni di gioco.
(continua)
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lunedì 1 ottobre 2007
Ugo Pirro: "Mio figlio non sa leggere"
"....Mano mano che procedevo.., la dislessia diventava un albero dalle lunghe e tortuose radici, che non potevano essere estirpate senza una lunga pazienza e mai completamente.
La conoscenza che acquisivo allarmava proprio perché confermava quelle oscure paure che avevo accumulato. E non mi dava alcun sollievo scoprire che era un disturbo assai più diffuso di quanto mai avessi supposto.
Come spiegare allora che non erano reperibili testi di divulgazione, guide per i genitori e gli insegnanti, ricerche condotte nelle scuole italiane?
Per quante indagini facessi, restai a mani vuote. Tanto disinteresse, quel silenzio dei libri non stava certo a significare che nel nostro paese i dislessici erano rari, indicavano piuttosto una sordità, un'indifferenza degli ambienti scientifici. Così solo si spiegava l'indifferenza della scuola di Umberto, l'assenza di ogni iniziativa pubblica. L'unico segno di interesse era appunto quel libro esposto nella bacheca della clinica. Più, insomma, leggevo, cercavo di informarmi, più io e Umberto eravamo soli contro tutti...
Umberto non poteva essere il solo dislessico esistente in Italia e dunque chissà quanti altri, al pari di me e di Umberto, combattevano senza speranza, senza capire, senza protestare, senza pretendere aiuti, rassegnati e colpevoli per quella loro rassegnazione che condannava i figli al semianalfabetismo, a ogni sorta di disturbo comportamentale...
... Soltanto in Italia avere un figlio dislessico è una tragedia senza qualità che si rappresenta davanti all'indifferenza della scuola, degli istituti scientifici, delle istituzioni pubbliche.
... non sapevo a chi rivolgermi per guarirlo e aiutarlo, dal momento che negli anni della scolarizzazione di massa la scuola si dedicava soltanto a quei figli, a quei piccoli cittadini che .. distinguevano il tempo dallo spazio senza errori, confusioni e omissioni, che si orientavano nell'universo avvicinabile con la stessa facilità con la quale gli uccelli migratori volano seguendo la rotta dei loro viaggi stagionali.....
... Proprio così era già accaduto alle elementari. L'avevano più che promosso, spedito alla scuola media, affibbiato a un altro corpo insegnante perché si provasse a respingerlo, si assumesse la responsabilità di eliminarlo...."
Ugo Pirro Mio figlio non sa leggere, Biblioteca Universale Rizzoli, MILANO 1984
La conoscenza che acquisivo allarmava proprio perché confermava quelle oscure paure che avevo accumulato. E non mi dava alcun sollievo scoprire che era un disturbo assai più diffuso di quanto mai avessi supposto.
Come spiegare allora che non erano reperibili testi di divulgazione, guide per i genitori e gli insegnanti, ricerche condotte nelle scuole italiane?
Per quante indagini facessi, restai a mani vuote. Tanto disinteresse, quel silenzio dei libri non stava certo a significare che nel nostro paese i dislessici erano rari, indicavano piuttosto una sordità, un'indifferenza degli ambienti scientifici. Così solo si spiegava l'indifferenza della scuola di Umberto, l'assenza di ogni iniziativa pubblica. L'unico segno di interesse era appunto quel libro esposto nella bacheca della clinica. Più, insomma, leggevo, cercavo di informarmi, più io e Umberto eravamo soli contro tutti...
Umberto non poteva essere il solo dislessico esistente in Italia e dunque chissà quanti altri, al pari di me e di Umberto, combattevano senza speranza, senza capire, senza protestare, senza pretendere aiuti, rassegnati e colpevoli per quella loro rassegnazione che condannava i figli al semianalfabetismo, a ogni sorta di disturbo comportamentale...
... Soltanto in Italia avere un figlio dislessico è una tragedia senza qualità che si rappresenta davanti all'indifferenza della scuola, degli istituti scientifici, delle istituzioni pubbliche.
... non sapevo a chi rivolgermi per guarirlo e aiutarlo, dal momento che negli anni della scolarizzazione di massa la scuola si dedicava soltanto a quei figli, a quei piccoli cittadini che .. distinguevano il tempo dallo spazio senza errori, confusioni e omissioni, che si orientavano nell'universo avvicinabile con la stessa facilità con la quale gli uccelli migratori volano seguendo la rotta dei loro viaggi stagionali.....
... Proprio così era già accaduto alle elementari. L'avevano più che promosso, spedito alla scuola media, affibbiato a un altro corpo insegnante perché si provasse a respingerlo, si assumesse la responsabilità di eliminarlo...."
Ugo Pirro Mio figlio non sa leggere, Biblioteca Universale Rizzoli, MILANO 1984
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